(...) La sequela del Signore chiede certamente un serio discernimento (più di ogni altra). Ma se uno continua a volgersi indietro, per paura di allontanarsi troppo dalla riva, si perde il più bello che sta 'al largo'. Non si può stare tutta la vita 'fin dove si tocca'. Non si tratta soltanto della urgenza dell'appello; si tratta anche della irreversibilità della decisione.
L'effettività cristiana della SEQUELA nelle condizioni di vita più comuni,ecco quello che dobbiamo reinventare. Per questo volgere risolutamente alla riva è necessario. Bisogna forse concentrarsi un po' di più sulla vita da vivere e un po' meno sulla opzione fondamentale. Di un impulso latente ad un cristianesimo senza orpelli nelle condizioni di vita più comuni, nel terzo millennio avremo bisogno più che del pane ...
La sua forma sarà più decisamente 'domestica'. Dal suo sviluppo la forma parrocchiale e quella religiosa trarranno giusti motivi di ridimensionamento e di trasformazione; e pertanto, vitalità adeguata alle virtualità di cui dispongono.
Nel frattempo è l'erba che ci manca. La buona e semplice erba fresca che contende al deserto la sua avanzata. Le serre sono utili, ma quelle non ci mancano. Il cemento è necessario ma non basta. L'erba è forte se si lascia crescere: a costo di rischiare un po' di zizzania. Il Signore (ma anche l'erba) vede la differenza meglio di noi, quand'è il momento. L'erba cambia la faccia della terra: in meglio se ne abbiamo cura e non pensiamo solo al giardino della parrocchietta o all'orticello del convento ...
Pierangelo Sequeri
- SENZA VOLGERSI INDIETRO -
Meditazioni per tempi forti
Vita e Pensiero, 2000
- SENZA VOLGERSI INDIETRO -
Meditazioni per tempi forti
Vita e Pensiero, 2000
IL CIUFFO D’ERBA
E poi cos'altro metterei nella bisaccia? Un ciuffo d'erba del monte. Per gli apostoli il monte è quello delle beatitudini, laddove dì fronte alle folle sterminate suonò per la prima volta il messaggio di liberazione proposto da Gesù. Sicché portarsi nella bisaccia un ciuffo d’erba colto da quelle pendici fiorite significa, per il credente di oggi, portarsi incorporata l'allegoria della novità cristiana. Significa che lui stesso deve diventare icona della novitas cristiana al punto tale di dare la vita, senza riduzione in scala, per quelle che Ignazio Silone chiamava, apparenti assurdità: la povertà, la nonviolenza, la solidarietà, le testimoniamo vivendole mediante il perdono, l'amore per i nemici, la passione per la verità, lo schieramento di parte accanto agli umiliati e agli offesi, l'abbandonarsi fiduciosi alla provvidenza.
lo ho provato a capovolgere simmetricamente quella frase della Gaudium et spes che sintetizza la compagnia con il mondo che la Chiesa deve sperimentare; e vedete che cosa è uscito fuori: nulla vi è di genuinamente cristiano che non trovi eco nel cuore degli uomini d'oggi. Capovolgendo l'affermazione scopriamo e vediamo indicata la testimonianza allo Spirito che deve essere resa dal credente. Ed essa sembra suggerire anche un paio di cose. Innanzitutto che il mondo di oggi, pur così distratto, si lascia ancora colpire dalla coerenza di quanti "rendono ragione della propria fede", qualunque essa sia. Sono le parole, semmai, che oggi rendono l'uomo indifferente, a non fare né caldo né freddo, all’uomo contemporaneo, sono le affermazioni di principio, quando esse non trovano riscontro nella vita. A rendere indifferente è l’insignificanza dei programmi che si prolungano nell’accademia e si esauriscono nel vaniloquio. I fatti concreti però lo seducono, le scelte di vita lo interpellano con forza e gli schermi dei suoi radar – negli schermi radar dell'uomo contemporaneo - anche se sono refrattari a registrare la presenza dei loro maestri, registrano sempre la presenza dei testimoni.
Un'altra cosa vien fuori da questa frase che ho rovesciato. Che la testimonianza offerta agli uomini di oggi, se vuole trovare eco nel loro cuore, deve essere genuinamente cristiana, genuinamente, con il marchio dì ori gine controllata; perché la gente, insospettita da un mercato così pieno di contraffazioni, è diventata guardinga, oggi; forse non coglie al volo le sofisticazioni alimentari, ma per le adulterazioni spirituali ha il fiuto prontissimo.
Concretezza e autenticità: è su queste coordinate da rintracciare non nelle carte nautiche o nei libri edificanti o nei nostri messali o nelle nostre sontuose liturgie, ma nella vita pratica dei cristiani coerenti - che gli uomini d'oggi - per quanto scettici, increduli o indifferenti, o anche diversi, potranno incrociare la loro rotta con quella dì Gesù Cristo. Ed io pensoche questo sia il vero punctum dolens del cristianesimo attuale.
Questo ciuffo d'erba del monte sembra che si sia rinsecchito nella nostra bisaccia, perché è la testimonianza coerente del discorso della montagna che manca.Il nostro deficit - diciamolo con chiarezza - non sta nell'annuncio della risurrezione di Gesù, della sua trascendenza, della centralità della sua vita, ma sta nell'incoerenza con cui viviamo la nostra identità di cristiani di fronte al mondo. I nostri linguaggi, cioè, si sono normalizzati, le nostre azioni non hanno nulla di eccentrico, le nostre decisioni non hanno il soprassalto dell’estro. Agli apostoli nel giorno di Pentecoste, la gente sbalordita diceva, beffandoli: 'Sono ubriachi di mosto dolce" (At 2,13). A noi non ci ferma nessuno, stupito, per rimproverarci di essere sbronzi. Non si accorge più nessuno della nostra presenza perché non c'è in noi il brivido della passione.
Diceva Gramsci, in una delle lettere, scrivendo ai suoi compagni: “manca il brivido della passione",A proposito, ricordo un episodio. Io ebbi l'infelice idea di pronunciare questa frase il giorno del mio ingresso in una città della Diocesi nel corso di una solenne celebrazione eucaristica ... Citando Gramsci io volevo incoraggiare i credenti a rabbrividire, a sentire la pelle d’oca per il messaggio di Gesù Cristo. Andò bene. Ovvero andò bene come discorso. Alla fine del giorno dopo ricevetti già delle lettere, le prime lettere di contestazione, che dice vano: "prima, quando un vescovo parlava in una cattedrale citava i Santi, faceva riferimento ai Padri della Chiesa. Adesso citano Gramsci. E proprio la fine”. Che tristezza! Avevo solo citato Gramsci che è una persona, come altre, forse più grande di tante altre, una persona meritevole di ascolto. Ecco, ci manca il brivido. Ci basti pensare al tema della povertà che è essenziale e sul quale come Chiesa non sappiamo più fare discernimento. Sembra che siamo stati colti da afasia. Permettiamo ormai tutto. Che senso ha più la povertà per il cristiano? Sarebbe sufficiente pensare al tema della nonviolenza: quanta gente anche nelle nostre chiese giustifica ancora guerra, la guerra giusta, la difesa armata! Occorrerebbe poi pensare al tema dei nostri compromessi col potere: quante volte per la paura di perdere i privilegi ci blocca la profezia sulle labbra, se pur non ci rende complici di tante ingiustizie consumate sulla pelle dei poveri!
Mi vengono in mente alcune battute di Silone nel libro Vino e pane dove in un dialogo tra sacerdoti, a don Benedetto gli fa dire; "Mio caro don Angelo, t'immagini tu il Battista offrire un concordato a Erode per sfuggire alla decapitazione? Ti immagini Gesù offrire un concordato a Ponzio Pilato, per evitare la crocifissione?'''.
Riconosciamolo: ci manca l’audacia profetica, che c'è nel discorso della montagna, ci fa difetto l'alta quota del monte delle beatitudini, e il ciuffo d'erba delle sue pendici si è disseccato nella nostra bisaccia.
Tonino Bello
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