sabato 31 dicembre 2016

Respirare annunciazioni


 L'immagine può contenere: cielo, oceano, acqua, spazio all'aperto e natura
(Luca 2,16-21)
Maria Madre di Dio anno A
Un soffio e il mondo compie alcuni piccoli fondamentali spostamenti. Lievi increspature dello scontato, un quasi niente, un po’ d’incenso che si dirada attorno a Zaccaria, un canto lieve nel cuore di Maria, una certa luce nella notte dei pastori: quel soffio è il caldo bacio di un Dio che respira sulla Storia aiutandola a rimettersi in cammino. Tocchi discreti, interventi angelici che Luca depone nel Vangelo per far scorrere la storia: annunciazioni lievi buone a dare urgenza al cuore degli uomini, a ricordare che la vita ha senso solo perché respira l’Invisibile, il Soffio divino.
Il respiro invisibile, il soffio di Dio che permette ai cuori di innamorarsi, ai piedi di affrettarsi, al coraggio di alzarci è solo la Parola di Dio. Non c’è altro angelo, non c’è altro soffio, non c’è altro sorriso divino.
C’è una Parola Signore a cui dobbiamo finalmente arrenderci, come uomini e come donne di questo tempo che sembra non finire e non iniziare mai e che pure scorre, sempre, verso di Te. Abbiamo bisogno di tornare alla Tua Parola, e questo significa lasciarsi alle spalle tutto ciò che è stato ideologico esercizio di potere, spesso subdolamente spacciato come servizio. Abbiamo bisogno di tanto coraggio, di lasciar soffiare la Parola sui nostri catechismi stanchi, sulle nostre attività vuote, sui nostri oratori smarriti e sui gruppi parrocchiali impauriti. Abbiamo bisogno di un Soffio che rimetta nel cuore l’urgenza dell’incontro con l’uomo. E che soffi via, dolorosamente tutto ciò che non è Te.
È che il Soffio di Dio è doloroso e radicale. Se lo respiri ti annienta le parole inutili, come è successo a Zaccaria, che per ascoltare davvero la Parola ha dovuto prima di tutto zittire i rumori della tradizione. Il soffio porta Maria a esporsi al rischio dell’incomprensione. Ad una nascita precaria e pericolosa. Porta allo scontro con il potere. Porta a diventare madre e orfana, nello stesso “sì”. Il Soffio di Dio porta sempre a una mangiatoia, che è una cesta che trasforma la nostra vita in pane spezzato per i fratelli. Cosa significhi essere pane spezzato solo il tempo può dirlo, solo lo scriversi addosso la Storia di Cristo, solo questo. Il soffio di Dio spinge contro quel piano inclinato che porterà alla passione, morte e resurrezione. E questa è la vera nostra paura. Tu ci fai paura Signore, questo dovremo avere almeno il coraggio di dirti, e di dirci. Nessuna proposta evangelica è realmente tale se non porta dentro di sé il dramma di questa paura: quella di perdersi. La paura di morire. Fa paura quella grotta Signore, è troppo simile al sepolcro scavato nella roccia.
La Parola di Dio soffia e permette il cammino a chi rischia la follia dell’ascolto, il cammino lascia dietro di sé l’uomo vecchio con le sue abitudini e permette al nuovo di nascere, ma solo in relazione con gli altri. Se il soffio non arriva il seme riamane seme, non si apre, intatto e morto, senza nascere mai. Il rischio di non farsi avvolgere dal Soffio, il rischio della paura di morire è quello di non nascere mai. Di illudersi di aver vissuto solo per aver aperto gli occhi per un misero tratto di tempo.
E allora forse comprendiamo il canto vero e toccante di quel bambino che piange in una cesta per il pane, è il pianto di supplica rivolto da Dio ad ognuno di noi: è la sua preghiera per convincerci a nascere. E in quel pianto c’è già tutto il Vangelo. C’è la chiamata dei primi discepoli strappati alla morte di una vita ripetitiva e stanca, c’è il miracolo di vite ricondotte a nascere di nuovo, c’è il soffio delle beatitudini e la bufera delle profezie, c’è il silenzio della preghiera e il respiro consegnato della croce, c’è il martirio dei testimoni. C’è già, in quel sepolcro a forma di cesta, la morte nella vita e la vita nella morte. C’è il vento che attraversa il sepolcro vuoto. C’è la promessa, che arriva anche a noi, oggi, di un Soffio profondo a spezzarci le pareti del cuore, a trasformare sofferenza in travaglio e tempo in possibilità. A incrinare le dure impaurite pareti del seme.
Lo stupore e lo sconcerto attraversano le pagine del Vangelo, lo stesso bambino stupisce i pastori e inquieta i potenti. E noi lo capiamo bene, perché ci affascina la promessa di Cristo e insieme ci spaventa. Sappiamo bene che solo una vita coraggiosamente spezzata apre alla vita ma, insieme, speriamo sempre di poter vivere senza traumi, senza perdersi. Quel bambino intanto piange, e chiede fiducia. E chiede di essere seguito. Per imparare l’arte della vita. Nient’altro che l’arte della vita. Perché la libertà abbia sempre il prezzo alto dell’Amore, perché l’Amore non riesca a raccontarsi senza la Morte sono domande che non riusciamo a formularci mai così lucidamente eppure sentiamo che sono questi i timori che stanno accovacciati ai piedi di ogni nostro tentativo di vita.
La risposta non è una spiegazione ma è una vita intera, la Sua, quella di Cristo, soffio continuo a innamorare e inquietare, ad affascinare ed agitare. Riusciremo un giorno almeno a non offuscare questo Vento scandaloso e potente, terribile e indispensabile?
Il bambino nella mangiatoia piange. Maria non sapeva tutto, sapeva quasi niente, come tutti. Sapeva che si era fidata dell’Amore e di una Promessa. La vita si impara vivendo. Non sempre. La vita si impara vivendolo con occhi e cuore aperti da far male. Attraversati dagli eventi. La verità vuole la Passione, vuole tutto. E Luca, all’inizio di questo viaggio chiamato Vangelo, di questo viaggio alla ricerca del Senso della nostra vita, ci regala la descrizione di due atteggiamenti indispensabili per non naufragare in questo terribile oceano d’amore: custodire e meditare. Maria custodiva, cioè lasciava alla vita di raccontarsi senza sottrarsi al suo racconto. Non chiudeva gli occhi. Avrebbe potuto farlo e si sarebbe risparmiata tanto dolore ma tiene gli occhi aperti, costi quel che costi.
Questo è il primo indispensabile atteggiamento che dobbiamo fare nostro: aprire gli occhi e lasciare che le cose accadano e che trovino spazio in noi. Mi pare la prima grande fiducia nella vita, non mi pongo come chi vuole che le cose vadano secondo desideri personali ma come chi ha il coraggio di guardare in faccia a questo mondo. Senza abbassare lo sguardo. Se c’è del marcio occorre trovare il modo per soffiare la vita anche lì, a costo di morirci dentro.
E il secondo atteggiamento è la meditazione. Che non è l’atteggiamento di chi si chiude estraniandosi dal mondo ma l’esatto opposto. Meditare è “tenere insieme”, traduzione letterale. Tenere insieme visibile e invisibile, carne e spirito, umano e divino. Tenere insieme la Storia con i lacci della Parola, credere sempre credere ancora nella capacità dell’uomo di narrare Dio.
Credere sempre, credere ancora, che ogni seme, quando si spezza, fa nascere l’Infinito sulla terra. Che ogni vita è un seme e che l’amore è il Soffio divino contenuto nel suo profondo. Morire per amore è respirare Annunciazioni tra i capelli degli uomini.


Alessandro Dehò  



“La culla è sempre all'ombra della croce” 
 Dietrich Bonhoeffer 

venerdì 30 dicembre 2016

Il primo servizio: ascoltare l’altro


Risultati immagini per bonhoeffer




Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto. L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua parola, e analogamente l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. L’amore di Dio agisce in noi, non limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto. Allo stesso modo l’opera di Dio si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello. I cristiani, soprattutto quelli impegnati nella predicazione, molto spesso pensano di dover “offrire” qualcosa agli altri con cui si incontrano, e ritengono che questo sia il loro unico compito. dimenticano che l’ascoltare potrebbe essere un servizio più importante del parlare. Molti cercano un orecchio disposto ad ascoltarli, e non lo trovano fra i cristiani, che parlano sempre, anche quando sarebbe il caso di ascoltare. Ma chi non sa più ascoltare il fratello, prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di Dio non farà che parlare. Qui comincia la morte della vita spirituale, e alla fine non rimane che futile chiacchiericcio religioso, quella degnazione pretesca, che soffoca tutto il resto sotto un cumulo di parole devote. Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, non sarà neppure capace di rivolgere veramente all’altro il proprio discorso, e alla fine non si accorgerà più nemmeno di lui. Chi pensa che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso nell’ascolto degli altri, non avrà mai tempo per Dio e per il fratello, ma lo riserverà solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti ... C’è anche un modo di ascoltare distrattamente, nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuole dire. È un modo di ascoltare impaziente, disattento, che disprezza il fratello e aspetta solo il momento di prendere la parola per liberarsi di lui. questo non è certo il modo di adempiere al nostro incarico, e anche qui il nostro modo di riferirci al fratelli rispecchia il modo di riferirci a Dio (Dietrich Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana, Brescia 2003, pp. 75-76).