Penso che fra tutti i documenti della Chiesa, sin da quando si è cominciato a designarli con le prime
parole latine, non ce ne sia uno che abbia la sua ouverture così
perfetta come quella della Gaudium et Spes. Si
direbbe che vi abbiano posto mano i poeti più che i teologi, e che a
prima stesura sia stata scritta non su quelle carte severe degli
esperti di scienze divine, ma sulle agili righe di un pentagramma
musicale. Sì, perché sembra l'attacco a piena orchestra di una
sinfonia, le cui note scuotono l'aria, ora con irrefrenabili
vibrazioni di festa, ora col ritmo simmetrico della fuga, ora con le
tenui cadenze dell'elegia.
"Le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e
di tutti coloro che offrono, sono pure le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore". Con
queste parole, il 7 dicembre 1965, la chiesa planava dai cieli della
sua disincarnata grandezza e sceglieva di collocare definitivamente
il suo domicilio sul cuore della terra.
E' come se avesse annullato di
colpo la barriera di secolari distanze, accettando di diventare
coinquilina degli stessi condomini abitati dai comuni mortali. Ha
rinunciato spontaneamente per sempre a quella zona di rispetto
creatale da antichi prestigi: non per timore della sua solitudine, ma
preoccupata della solitudine degli uomini.
Con quel preludio solenne, diga
squarciata dai pensieri di Dio, la chiesa sembra dire al mondo così:
"D'ora in poi le tue gioie saranno le mie; spartirò con te il
pane amaro delle identiche tristezze, mi lascerò coinvolgere dalle
tue stesse speranze, e le tue angosce stringeranno pure a me la gola
con l'identico groppo di paura".
Noi tuoi figli ti diciamo
grazie, chiesa, perché ci aiuti a ricollocare le nostre tende
nell'accampamento degli uomini. Perché non ci isoli nei recinti
dell'aristocrazia spirituale. Perché nel piano urbanistico della
città terrena non pretendi per i discepoli di Cristo suoli
privilegiati per la loro edilizia.
Grazie, perché riscoprendo la
legge dell'incarnazione che condusse il Maestro ad abitare in
mezzo a noi ti sei decisa a vivere con gli uomini una condiscendenza
a tutto campo. Perché rinunci ai fili spinati della riserva di
caccia. Perché alla categoria del sacro, che seleziona spazi e tempi
da dedicare ala Signore, preferisci la categoria della santità, che
permea di presenza divina anche le fibre più profane dell'Universo.
Ma grazie, soprattutto, per quella
notizia inaspettata, stupenda, che ci dai col fremito dei lieti
annunci: quando affermi, cioè, che le gioie degli uomini sono
anche le gioie del cristiano, e che tra le une e le altre, caduto
il sospetto della contrapposizione, corre il filo doppio della
simpatia.
E' incredibile. Eravamo abituati a
condividere solo i dolori del mondo. Una lunga dottrina ascetica ci
aveva allenati a farci carico esclusivamente delle sofferenze
dell'umanità. Eravamo esperti nell'arte della compassione. Nelle
nostre dinamiche spirituali aveva esercitato sempre un fascino
irresistibile il cireneo della croce. Ma i maestri di vita interiore
non ci avevano mai fatto balenare l'idea che ci fossero anche i
cirenei della gioia.
Ed ecco ora lo sconvolgente
messaggio: le gioie genuinamente umane, che fanno battere il cuore
dell'uomo, per quanto limitate e forse anche banali, non sono
snobbate da Dio, né fanno parte di un repertorio scadente che abbia
poco da spartire con la gioia pasquale del Regno.
La felicità per la nascita di un
amore, per un incontro che ti cambia la vita, per una serata da
trascorrere con gli amici, per una notizia sospirata da tempo. per
l'arrivo di una creature che riempie la casa di luce, per il ritorno
del padre lontano, per una promozione che non ti aspettavi, per la
conclusione a lieto fine di una vicenda che ti ha fatto penare a
lungo... questa felicità fa corpo con quella che sperimenteremo nel
Regno.
E' contigua col brivido
dell'eternità, che proveremo nel cielo, l'estasi che ti coglie
davanti alle montagne innevate, alle trasparenze di un lago, alle
spume del mare, al mistero delle foreste, ai colori dei prati, ai
turgori del grano, ai profumi dei fiori, alle luci del firmamento, ai
silenzi notturni, all'incanto dei meriggi, al respiro delle cose,
alle modulazioni delle canzoni, al fascino dell'arte.
E' parente stretta con le sovrumane
gioie dello spirito l'umanissima gioia che ti rapisce di fronte al
sorriso di un bambino, al lampeggiamento degli occhi di una donna,
agli stupori di un'anima pulita, alla letizia di un abbraccio
sincero, al piacere di un applauso meritato, all'intuizione di cose
grandi nascoste dietro i veli dell'effimero, alla fragilità
tenerissima di cui si riveste la bellezza, al sì che finalmente ti
dice la persona dei tuoi sogni.
"Non vi è nulla di
genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore".
Ma che cosa è questa rivelazione
improvvisa che annuncia coincidenze arcane tra le gioie degli uomini
e le gioie dei discepoli di Gesù?
Colpo di scena o colpo di genio?
Forse è solo colpo di grazia!
Nessun commento:
Posta un commento